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Ascoltare per comprendere e comunicare
Spesso si associa la comunicazione alla capacità di esprimersi o di esporre al meglio un’idea a qualcuno, ma si scorda che la comunicazione avviene nei due sensi e che la capacità d’ascolto è la qualità primaria per quelli che desiderano trasmettere un messaggio.
L’ascolto attivo consiste nell’ascoltare l’altro con attenzione, in modo non direttivo, instaurando un rapporto di fiducia, rispetto ed empatia, affinché l’interlocutore si esprima in tutta libertà, senza timore di giudizi frettolosi e senza subire pressioni di sorta.
Come si pratica l’ascolto attivo?
Saper ascoltare attivamente vuol dire essere in grado di focalizzare la completa attenzione sull’altro per cogliere ogni minimo frammento del suo messaggio, sia verbale che non verbale.
Per essere certi che la comunicazione si svolga in modo efficace e dimostrare all’altro che siete totalmente concentrati su di lui e avete recepito il suo messaggio potete usare l’ascolto attivo, adottando le seguenti modalità.
1. Stabilire un clima di fiducia
Focalizzate l’attenzione sull’interlocutore, individuate il suo modo di comunicare e mettetelo a suo agio adottando lo stesso modello. Per esempio certe persone hanno bisogno di un ambito ufficiale o formale, mentre altre si sentiranno più a loro agio in un ambiente più famigliare e rilassato. Le persone definite ‘visive’ adotteranno e comprenderanno meglio i termini che si relazionano con la ‘vista’ («vedo che le cose stanno così…»), mentre un ‘ uditivo’ dirà piuttosto «intendo che le cose stanno così…» e un ‘cinestesico’ «sento che le cose stanno così», etc. Certi useranno parole precise, corrette, persino colte, altri preferiranno un linguaggio più colloquiale e semplice.
Bisogna adeguarsi alla personalità dell’interlocutore, ricalcandone la comunicazione e impiegando lo stesso vocabolario per metterlo a suo agio e favorire la reciproca fiducia.
2. Essere totalmente disponibili
Per essere pienamente e sinceramente in ascolto dell’altro non si devono nutrire pregiudizi su di lui, dimenticando ciò che si sa o si presume di sapere sul suo conto, sospendendo ogni giudizio sul suo aspetto, modo di vestire, eloquio e senza aspettarsi nulla dall’incontro. Eventuali delusioni o frustrazioni derivanti da eventuali aspettative possono distorcere e perturbare l’ascolto, facendovi perdere il filo e spostando il focus sulle vostre sensazioni.
Bisogna essere capaci di non farsi coinvolgere da esperienze simili a quelle raccontate dall’interlocutore per non deviare nella pratica dell’ascolto, pur rimanendo aperti ed empatici. In caso contrario la vostra visione della situazione sarà falsata, perché ognuno di noi reagisce agli eventi e alle narrazioni in funzione della propria educazione, dei propri valori e del proprio vissuto.
3. Ascoltare oltre le parole
Dovete saper decodificare il ‘non verbale’.
Braccia conserte, sguardo sfuggente, gambe nervose, tic, silenzi, respiro accelerato sono altrettanti elementi da decodificare per arrivare a capire in quale stato si trova l’interlocutore, inquadrandolo sempre nella comprensione del messaggio che ci sta trasmettendo anche grazie alla dimensione emozionale.
4. Riformulare
Questa importante chiave dell’ascolto attivo consiste nel ripetere con le proprie parole, quello che l’interlocutore ci ha detto, riformulando in maniera più chiara e sintetica ciò che si è compreso. L’obiettivo non è quello di ottenere maggiori precisazioni da parte dell’interlocutore, quanto verificare e farsi confermare che quello che si è capito è esattamente quello che ha espresso. A volte, solo per il fatto di sentirlo dire diversamente o udirlo da un’altra persona, l’interlocutore può provare una specie di scatto o di sblocco, che lo porta subitaneamente a vedere le cose sotto un altro punto di vista o addirittura a prendere pienamente coscienza del suo modo di comunicare, con tutto ciò che questo implica.
Riformulare con le proprie parole quanto ci è stato detto permette, da un lato, di assicurarsi di aver ben compreso quanto l’interlocutore ci ha comunicato, dall’altro di dimostrargli di aver inteso e integrato il messaggio che ci ha trasmesso.
L’ascolto attivo: molto più che ascoltare
L’ascolto attivo è molto più che ascoltare, è la via più sicura perché l’interlocutore si senta accolto e compreso.
L’aspetto più interessante dell’ascolto attivo è che produce effetti profondi su entrambi gli interlocutori, si potrebbe dire che è vera comunicazione perché mentre la persona ascoltata prova una sensazione di accoglienza e fiducia, la persona che ascolta si ritrova a riflettere sulle sue sensazioni, pensieri ed emozioni e questo le permette di elaborare quello che prova, prevenendo e gestendo anche eventuali situazioni di stress.
L’ascolto attivo e i sensi
Avete mai provato a parlare con qualcuno che non vi guarda negli occhi o ha uno sguardo distratto e assente? Vi rendete subito conto che sta pensando ad altro e che di sicuro, in quel momento, non siete al centro del suo interesse.
Lo stesso succede quando qualcuno vi interrompe mentre gli state raccontando qualcosa, oppure – come si suol dire – «vi parla sopra» dimostrandosi impaziente di arrivare alla fine del discorso e con l’urgenza di proporvi sempre la sua soluzione.
In questo caso ben due dei cinque sensi più importanti sono coinvolti: la vista e l’udito, ma quale sensazione provate di fronte a qualcuno che si comporta così? Di sicuro non vi sentite compresi, anzi potreste arrivare a sentirvi addirittura svalutati, offesi o invalidati.
Cosa c’è di peggio, infatti, che rendersi conto di non valere nulla per la persona con la quale stiamo parlando, di contare talmente poco da non meritare nemmeno qualche minuto di vera attenzione?
Ti ascolto e sono partecipe
Nell’ascolto attivo ci si concentra invece sulle parole dell’interlocutore, prestandogli tutta la propria attenzione, ma poiché sono in gioco i sensi non ci si limita ad ascoltare le parole.
Si porta uno sguardo attento alla persona nel suo insieme, alle sue movenze, alle sue emozioni, ai suoi silenzi e ai suoi modi di dire.
La si guarda in faccia apertamente facendola sentire al centro dell’attenzione e le si parla con sincerità e partecipazione.
Ti ascolto e non ti giudico
L’ascolto attivo non è mai critico.
Le persone che tendono a consigliarci o a darci la loro versione dei fatti, oppure ci vogliono incoraggiare a propendere per una scelta anziché per l’altra, si pongono in una posizione in cui l’empatia lascia il posto allo schieramento.
Anche se sembrano darci ascolto ed essere solidali con noi, di fatto sono immerse nel loro ego che le porta ad esprimere un giudizio e un’opinione su quello che stiamo loro raccontando.
Il fatto che questa opinione ci sia favorevole o meno non cambia la sostanza.
Ti ascolto e ti do spazio
L’ascolto attivo è un ascolto empatico che lascia spazio all’altro.
Cosa succede nello spazio?
Quando si lascia spazio all’altro può accadere di tutto. La persona non sentendosi giudicata sarà incoraggiata a condividere liberamente le sue emozioni e il suo vissuto. Questo le permetterà di essere sincera con se stessa e di liberare anche blocchi o nodi collegati a verità profonde che non si permetteva di esprimere.
L’assenza di giudizio lascia alla persona la totale possibilità di muoversi in qualunque direzione, anche apparentemente contraddittoria e incoerente
Ti ascolto e non parlo
L’ascolto attivo si basa sul contatto visivo costante, sull’assenza di giudizio e sul rispetto delle pause di silenzio, senza incalzare l’altro a esprimersi o a prendere posizione.
È proprio nel silenzio non giudicante e nello spazio libero che la persona può finalmente, magari per la prima volta, ascoltarsi e udirsi, rendendosi conto che le parole che sta pronunciando possono determinare i suoi atteggiamenti e le scelte conseguenti.
Ti ascolto e sono qui per te
In questo spazio non si lascia l’altro solo nel vuoto, ma gli si fa sentire la propria presenza rispettosa e comprensiva tramite il linguaggio del corpo, per esempio sorridendo, annuendo, accennando piccoli gesti, che fanno comprendere che siamo partecipi.
Lo scopo è quello di far sentire proprio agio chi parla.
Quando, alla fine della conversazione si riassume quello che l’altro ci ha riferito con l’intento di fargli capire di aver compreso quello che prova e qual è il suo punto di vista, ci si limita a registrare e riportare quello che ci è stato detto senza introdurre nuovi elementi. Quanto più fedele sarà la restituzione delle parole del paziente tanto più lui si sentirà accolto e non giudicato.
Ti ascolto e voglio comprenderti
Solo quando l’altro avrà concluso la sua comunicazione e avrà chiaramente fatto comprendere di essere giunto a un punto fermo, gli si rivolgeranno delle domande.
L’intento, da cui traspariranno amorevolezza e partecipazione, sarà quello di chiedere precisazioni e chiarimenti.
Gli strumenti dell’ascolto attivo
Sono tre:
- la riformulazione
- le domande
- i silenzi
1. La riformulazione
È l’intervento che consiste nel ridire in altri termini e in una maniera più sintetica o più esplicita quello che l’interlocutore ha appena espresso, in modo tale che l’intervistatore ottenga l’accordo del soggetto, considerato come la persona maggiormente al corrente dei fatti. Riformulare assicurandosi l’accordo della persona permette di valutare se la riformulazione sia valida o insufficiente.
È sempre opportuno manifestare una grande prudenza, usando le seguenti frasi:
«Se ho capito bene…», «Correggimi se sbaglio…», in modo da permettere all’altro di sentirsi libero di effettuare un riaggiustamento nel caso in cui chi lo accompagna si trovasse in errore.
Ci sono vari tipi di riformulazione: eco, parafrasi o riflesso, riassunto o riepilogo,
Risposta eco quando il ricevente si limita a ripetere le ultime parole dell’emittente.
Riformulazione parafrasi o riflesso
che consiste nel parafrasare o riflettere il messaggio che il soggetto ha appena espresso, dimostrando così anche uno sforzo di comprensione.
«Così secondo lei…», «Lei vuol dire che…», «Secondo lei dunque…», «In altre parole…».
Riformulazione, riassunto o riepilogo
Il ricevente opera una sintesi dell’esposizione dell’emittente. Questa tecnica viene usata particolarmente quando l’esposizione dell’emittente è stata particolarmente vasta o prolissa. Punta a rilevare gli elementi salienti, il che fa supporre che si sia colto l’essenziale di quello che il soggetto voleva dire. È fondamentale operare questa riformulazione a partire da quello che è importante per il soggetto stesso per esempio:
«Se capisco bene ci sono state varie fasi: prima… dopo… e infine…».
Riformulazione ricollocamento
È la riformulazione basata sul rovesciamento dei rapporti tra ciò che viene messo in primo piano e quello che resta sullo sfondo. Si tratta di riformulare i concetti espressi mostrando un altro lato rispetto a quello che è stato comunicato. Permette di sdrammatizzare una situazione dolorosa o penosa e in questo modo può offrire la possibilità di dare sostegno all’interlocutore, dicendogli, per esempio: «Capisco bene che tu pensi di aver fallito nei tuoi studi, che noti degli errori pedagogici e che questo non ti vada bene, ma del resto è quello che succede regolarmente alle persone esigenti, serie e capaci di mettersi in discussione…».
Riformulazione chiarificazione
Il racconto del soggetto è l’espressione diretta di quello che prova, incluso ciò che è incerto, disorganizzato e confuso. Questa riformulazione consiste nel mettere in luce il senso nascosto del messaggio. In questi casi il rischio interpretativo è a volte inevitabile e c’è la possibilità di commettere errori di analisi, perciò dovrà essere usata con precauzione, per esempio sotto forma di una frase come la seguente: «Quando dici che non ne puoi più e che vuoi reagire, credo di capire, dal mio punto di vista, che non sopporti più il suo modo di comportarsi, che – quando ne parli – percepisco come condiscendente e che intendi dirglielo. È così?»
Certi potrebbero pensare che in questo processo ci sia qualcosa di artificiale, che si perda la spontaneità e che l’intervistatore non sia naturale. Questa è l’obiezione più comune.
In effetti in questo caso la qualità della comunicazione è garantita dalla sincerità dell’intervistatore.
2. Le domande
Ci sono tre tipi di domande:
- Aperta
- Chiusa
- Illusione di alternativa
Domanda aperta
La domanda aperta permette alla persona di tendere alla precisione e di avere una percezione e uno sguardo esauriente sulla sua realtà soggettiva. Si privilegia questa forma di domanda perché offre il vantaggio di invitare l’altro a sviluppare il suo pensiero ed entrarci in profondità.
L’impiego del pronome interrogativo è da evitare perché che spesso viene vissuto come accusatorio. Così anziché chiedere «perché hai fatto questo?» che potrebbe implicitamente significare che la persona agito male, preferiamo la formulazione «che cos’è che ti ha motivato/incoraggiato/deciso/obbligato a fare questo?»
Domanda chiusa
L’interrogazione chiusa benché sia uno strumento meno pertinente per accompagnare la persona a formulare il suo pensiero va comunque tenuta in considerazione nelle numerose occasioni in cui serva un processo di verifica.
Domanda di chiarimento: «È in questo momento che tu hai avuto paura?», «Vuoi dire che hai avuto paura?».
Domanda di investigazione: «E allora, quando hai fatto questo ti sei sentito sollevato?».
Domanda a illusione di alternativa
Le domande a illusione di alternativa servono a condurre dolcemente la persona a sviluppare la consapevolezza della miglior scelta per loro stesse.
Chiedendo «Se ti trovassi di fronte alla possibilità di optare per uno stile di vita salutare o quella di sviluppare disturbi e intolleranze alimentari, cosa sceglieresti?» difficilmente la persona risponderà che preferisce ammalarsi. Verrà così gentilmente condotta a riflettere sul tema, ponendosi su una diversa prospettiva.
3. I silenzi
Sono necessari all’attività cognitiva della persona che si è connessa alla sua esperienza e si prende il tempo di rifletterci in profondità. Inoltre il silenzio del suo interlocutore può trasmetterle la sensazione che quest’ultimo si prenda del tempo per lei e per accogliere la sua riflessione, senza l’intenzione di affrettare questo momento prezioso.
L’arte del silenzio
È comunque vero, altresì, che il silenzio è spesso vissuto come una minaccia
La paura del silenzio proviene dal fatto che a volte viene percepito come un vuoto, che può essere generatore di angoscia, oppure venir considerato come una perdita di tempo che si traduce in assenza o mancanza di efficacia.
Benché nell’attimo silenzioso si tema di essere giudicati dall’altro che si chiude nei suoi pensieri, il silenzio rappresenta tuttavia anche il momento che lascerà spazio alla riflessività e alla presa di coscienza, evitando di inquinarle.
Propriocezione ed empatia
La propriocezione e l’empatia permettono di percepire ed elaborare le proprie e altrui emozioni e stati d’animo durante il colloquio ed è molto importante prestare attenzione a ciò che si prova anche in prima persona, su più livelli.
A livello emozionale: ansia, paura, rabbia, nervosismo, irritazione, noia, fastidio, ecc.
A livello di sensazioni fisiche: caldo, freddo, respirazione, battito cardiaco alterato, stomaco bloccato, ecc.
A livello psichico: pensieri, giudizi, immagini o altro, evocati dall’interazione con l’interlocutore.
Rendendosi consapevole di questi aspetti il Coach pratica l’autocoscienza e ha consapevolezza di quali siano i temi che gli suscitano determinate sensazioni, pensieri ed emozioni.
L’ascolto attivo accresce il senso di fiducia senza il quale non ci può essere relazione d’aiuto.
Per stabilire La miglior strategia di un percorso di Coaching è importante che il paziente sia quanto più preciso e specifico nel raccontare i suoi bisogni, preoccupazioni ed esigenze.
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Bibliografia
- Carl Rogers, Potere personale. La forza interiore e il suo effetto rivoluzionario, Astrolabio Ubaldini, 1978
- Giorgio Nardone, Roberta Milanese, Il cambiamento strategico. Come far cambiare alle persone il loro sentire e il loro agire, Ponte alle Grazie, 2018