Aiutare in accordo. Gli obiettivi.

In questo articolo si parla di

Evoluzione del Coaching

Verso la fine degli anni ’90 il percorso di Coaching si era strutturato in tre filoni essenziali:

  1. quello artistico, che sosteneva attori e artisti che lavoravano sulla loro creatività,
  2. quello sportivo che apportava agli atleti il sostegno per le performances fisiche e mentali che dovevano sostenere in occasione di gare e competizioni,
  3. quello professionale volto ad aumentare la coesione e la produttività nelle équipe di lavoro, oppure indirizzato ai politici che desideravano migliorare il loro carisma e la loro influenza sul pubblico.

Successivamente, nel corso degli anni 2000 si è consolidata nelle aziende e nelle organizzazioni la pratica di proporlo ai quadri e ai manager, al fine di migliorare i loro risultati e le relazioni professionali.

Siamo giunti così a estenderlo a tutte le persone desiderose di sviluppare i loro talenti, di attivare processi di miglioramento e cambiamenti nello stile di vita.

 

Il cuore del Coaching: il cambiamento

Ci troviamo in un mondo in cui i cambiamenti sono sempre più rapidi e di conseguenza la richiesta di adattarvisi è sempre più pressante. Poiché il cambiamento è il cuore stesso della dinamica di Coaching è importante stabilire il come, il perché, a quali condizioni, con quali limiti e restrizioni il cambiamento desiderato verrà perseguito.

Il punto cruciale è comprendere quale sia il bisogno insoddisfatto che scatena il desiderio di cambiamento.

Si parte dal bisogno.

Si arriva al cambiamento.

Tra questi due dati si snoda il percorso da concordare con la persona desiderosa di realizzare il suo desiderio e soddisfare il bisogno.

 

Il cambiamento delle abitudini

Il maggior ostacolo che i pazienti incontrano quando si trovano a intraprendere il delicato cammino di trasformazione risiede di solito proprio dentro loro stessi.

Ciò su cui si interviene è la modifica di abitudini ben radicate.

Cambiarle è molto difficile, perché il paziente stesso costruisce tutta una serie di difese intorno a delle convinzioni che, pur limitandolo nell’esplorare altre possibilità, lo fanno sentire al sicuro dentro una fortezza edificata negli anni.

 

21 giorni per cambiare: una bufala deprimente

Il mito dei 21 giorni sostiene che per sviluppare abitudini o abilità nuove sono sufficienti 21 giorni. Recenti ricerche e sperimentazioni hanno verificato che, in realtà, per sviluppare consolidare abitudini anche semplici sono necessari almeno 180 giorni.

Se il partecipante a un corso si aspetta di diventare bravo dopo 21 giorni e poi – come è facile che accada – non lo diventa, rischia la frustrazione oppure rischia di dover acquistare un altro corso in cui gli verrà spiegato come mai non è riuscito nel suo intento e che cos’altro deve fare per riuscirci.

Così come accade con i fallimenti delle ‘diete’, ogni attività che richieda un cambiamento radicale delle abitudini e degli stili di vita è votata al fallimento quando vi si ripongano aspettative troppo elevate.

 

L’immagine dell’Io

Il mito dei 21 giorni deriva da alcune osservazioni di un chirurgo plastico Maxwell Maltz, il cui obiettivo era quello di modificare l’aspetto esteriore delle persone rendendolo più simile all’immagine che avevano di se stesse e che differiva da quella che vedevano allo specchio. Maltz osservò che l’immagine interiore che abbiamo di noi stessi influenza le nostre scelte e comportamenti e, basandosi su dati derivati da esperienze avute con alcune sue pazienti, ipotizzò un lasso di tempo di circa 21 giorni per poterli modificare.

Lo stratagemma dell’”immagine dell’Io” viene utilizzato per modificare i comportamenti umani. Maltz unì la cibernetica, che studia i fenomeni di autoregolazione e comunicazione negli organismi viventi e nei sistemi artificiali, alla psicologia e se ne servì per rappresentare i ‘comportamenti umani’.

Nel suo libro Psicocibernetica vi sono in particolare tre punti che rivestono per noi un certo interesse, in quanto trattano proprio di stratagemmi per il ‘cambiamento’.

 

Stratagemmi per il cambiamento

1. Modificare l’”immagine dell’Io”

Tale immagine è l’idea che abbiamo di noi stessi, vale a dire la fotografia mentale del nostro essere, che si è formata nel tempo in base ai feedback altrui e a quello che abbiamo capito di noi stessi. Per modificarla bisogna fare esperienza di sé, rielaborare il nostro comportamento sia in contesti reali che all’interno della nostra mente.

Per questo motivo pensare di agire in maniera diversa può avere un forte impatto sul cambiamento da attivare.

2. Immaginare

L’immaginazione può essere una cura potentissima per cambiare, sbloccare alcune situazioni di stallo e risolvere problemi. Per esempio se abbiamo una percezione di noi stessi come persone timide, saremo più portati a comportarci con gli altri in maniera scostante e impacciata, e di conseguenza le persone ci restituiranno, con i loro comportamenti, questa stessa immagine di noi, rafforzandola.

Se invece iniziamo a figurarci come persone solari e pensare al comportamento che avrebbe una persona solare in determinate situazioni, saremmo portati a sviluppare quella attitudine nella vita reale.

3. Fare come se…

Utilizzando l’immaginazione si può procedere adottando lo stratagemma del fare come se…

Questo significa comportarsi come se la realtà potesse già essere diversa, modificata in funzione dei nostri desideri, bisogni e aspettative.

Grazie all’immaginazione possiamo arrivare a realizzare il “come se” che ci porta a non condizionare noi stessi con paure create dal pensiero di eventi futuri che potrebbero spaventarci e a vivere sostanzialmente nel qui e ora, disegnando il nostro futuro mentale con comportamenti di successo.

 

Come si costruisce un’abitudine

Nella vita nulla compare per magia, tutto richiede impegno ed esercizio, soprattutto costanza. Secondo una ricerca pubblicata nel 2013 da Lally e Gardner nell’European Journal of Social Psychology per instaurare una nuova abitudine possono servire, in realtà, anche 66 giorni. Lo studio fu condotto su 96 soggetti intenzionati a sviluppare una nuova abitudine, come includere frutta nella dieta o iniziare a correre regolarmente, monitorati da un’équipe di ricercatori, che analizzarono anche la loro propensione di base a “costruire un’abitudine”.

Il risultato fu che i soggetti impiegarono in media 66 giorni per costruirla.

Il tempo variava in base alla difficoltà del compito, da quello più semplice, come bere un bicchiere d’acqua prima di colazione, a quello più impegnativo, come fare gli addominali prima di colazione.

 

Le radici dell’abitudine

Nella mia attività di coach di nutrizione mi trovo spesso a confrontarmi con una realtà apparentemente ambigua.

Anche se il paziente, o per ragioni di salute o per ragioni di estetica e accettazione di sé, da un lato desidera cambiare modo di nutrirsi, d’altro canto, però, pur dichiarando questa propensione al cambiamento, si confronta spesso con un ‘sabotatore interno’ che resta aggrappato a convinzioni radicate, a memorie e abitudini collegate al piacere del cibo.

 

Cambiamento e dipendenza

Il cambiamento delle abitudini alimentari è uno di quelli più difficili da attivare e mantenere, in quanto si instaura su strutture solide, paragonabili quasi a quelle della dipendenza da sostanze.

Le dipendenze sono un campo vasto e articolato, ma solo apparentemente. Alla base di ogni specifica dipendenza, quella da alcol, droghe, tabacco, gioco, sesso o cibo si cela il malessere psichico e spirituale che porta all’attaccamento a una sostanza o a un cibo. Il passaggio necessario per il cambiamento è quello in cui la persona riconosce che il suo benessere non può derivare da qualcosa di materiale. Nel caso delle dipendenze il primo passo consiste nell’evitare la sostanza oggetto della compulsione, operando la netta distinzione tra ‘desiderio’ e ‘bisogno’.

 

La pizza come la mamma

Con il cibo purtroppo si entra in un ambito complesso, perché è un elemento indispensabile alla vita ed è uno dei primi legami che si instaurano tra la madre e il bambino, quindi è inscindibile dalla quotidianità della persona che, a differenza di quanto si fa con le sostanze, non se ne può privare, pena la morte.

Inoltre ci sono cibi che definiscono la nostra appartenenza alla famiglia alla comunità alla nazione. All’estero ci sentiamo più Italiani di fronte a una pizza (anche se non avrà mai il sapore di casa), che davanti al tricolore. Ci sembra che rinunciare determinati cibi sia come tradire l’appartenenza.

 

In ostaggio di naso e gola

Su questo si innestano le memorie, attivate da olfatto e gusto, i potentissimi elementi che orientano le nostre scelte e decisioni.

Per alcune persone è arduo persino sostituire un ingrediente, alleggerire una pietanza, utilizzando un condimento meno pesante o apportando lievi modifiche. Schemi mentali ben saldi le porteranno a dirci che non si può modificare una tale ricetta, che questo significa non rispettare la tradizione, oppure che non sanno proprio come fare a mangiare in modo diverso.

Partiranno poi con tutta una serie di argomentazioni relative al fatto che «abbiamo sempre fatto così», che «i nostri vecchi mangiavano in questo modo e stavano benissimo», che «l’Italia è nota nel mondo per la varietà di cibi e di ricette», che «siamo dei buongustai» e anche che «in famiglia non è possibile cambiare alimentazione perché tutti gli altri desiderano mangiare come hanno sempre fatto.».

Per scatenare fiere opposizioni non serve nemmeno arrivare a ipotizzare scelte radicali come il vegetarianesimo, il veganesimo o il crudismo.

E allora che si fa?

 

Il primo passo verso l’obiettivo

Il primo passo verso il raggiungimento dell’obiettivo è sempre quello di accogliere le obiezioni e le difficoltà con mente aperta e atteggiamento scevro da giudizio.

Questo vale sia per il Coach che per la persona che gli si rivolge.

È importante accettare che il cambiamento va operato un po’ alla volta, senza forzarsi e soffrire. Forza di volontà e sacrificio sono dei miti poco funzionali e non producono altro che frustrazione e insuccessi.

 

Aiutare in accordo: gli obiettivi

Di fatto il Coach accompagna il cliente in un percorso di cambiamento che ha lo scopo di raggiungere – nel tempo – determinati obiettivi che la persona stessa si è posta.

È evidente quanto sia importante che il sostegno si basi su accordi chiari e precisi, che vanno presi sin dall’inizio del percorso.

Aiutare in accordo significa:

  1. Delimitare il campo.
  2. Non giudicare.
  3. Praticare la coerenza.
  4. Avere fiducia nell’altro.
  5. Essere vigili e consapevoli.

 

Delimitare il campo

Significa definire con chiarezza gli ambiti dell’intervento, delimitare il quadro e le azioni da compiere, porre condizioni precise e concludere un patto al quale sia il cliente che il Coach di atterranno.

 

Non giudicare

Bisogna mantenere un atteggiamento di non giudizio, coniugando fiducia e autenticità.

Ascoltare senza pregiudizi, accogliendo apertamente tutto ciò che viene detto, favorisce l’instaurarsi di un rapporto di fiducia reciproca, indispensabile per porre le basi della relazione e accrescere la motivazione al cambiamento desiderato.

 

Praticare la coerenza

Mantenere la coerenza nel proprio ruolo di Coach contribuisce a consolidare la relazione di fiducia. Significa allineare con onestà ciò che si dice con quello che si prova e con le azioni che si compiono, dando prova di sincerità e autenticità.

 

Avere fiducia nell’altro

Il cliente va sempre supportato incondizionatamente.

La regola da seguire è quella di credergli sempre e partire dal presupposto che sia in buona fede, accogliendo senza riserve tutto quello che dice, incluse le sue resistenze e razionalizzazioni. Questo serve a costruire un clima disteso di fiducia, che predispone ad un’attitudine propositiva.

 

Essere vigili e consapevoli

È essenziale metacomunicare, cioè essere estremamente chiari anche sulla propria comunicazione. Questo vuol dire evitare ambiguità e fraintendimenti, grazie a costanti domande di verifica e approfondimento.

Non deve esserci una relazione di potere, né prevaricazione o manipolazione, bensì un accompagnamento che sostiene la persona nel suo percorso.

L’importante è controllare costantemente la propria emotività e restare vigili e consapevoli delle dinamiche interpersonali che si possono instaurare, in modo da mantenere la giusta distanza.

 

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Bibliografia

  • Maxwell Maltz, Psicocibernetica, Astrolabio Ubaldini, 1965
  • Charles Duhigg, Il potere delle abitudini. Come si formano, quanto ci condizionano, come cambiarle, TEA, 2014
  • Giorgio Nardone e Alessandro Salvini, Il dialogo strategico. Comunicare persuadendo: tecniche evolute per il cambiamento, Ponte alle Grazie, 2018

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