In questo articolo si parla di
La metafora della freccia
Avrete spesso sentito utilizzare la frase ‘diventare la freccia’, che è anche – non a caso – il titolo di un libro dedicato agli arcieri e a chi desidera cimentarsi nell’arte sportiva del tiro con l’arco. Per comprendere appieno il significato di questa frase bisogna sviscerare il concetto di ‘freccia’ e l’utilizzo che viene fatto di questa parola nella nostra lingua.
Molti modi di dire utilizzano questo vocabolo, per esempio ‘avere molte frecce al proprio arco’, ‘la freccia di Cupido’, ‘dare una frecciata a qualcuno’.
Il campo semantico comune a tutte queste espressioni è quello di ‘fare centro’.
‘Avere molte frecce al proprio arco’ significa avere molte opportunità per giocarsi un obiettivo importante.
‘Dare una frecciata a qualcuno’ significa colpirlo dove siamo certi di ferirlo.
‘La freccia di Cupido’ è il simbolo per eccellenza dell’andare dritto al punto, all’obiettivo desiderato. Si dice anche, infatti, colpire ‘dritto al cuore’, considerando il cuore come il centro energetico del nostro corpo.
Di sicuro ci sono altri punti che, se colpiti, possono portare alla morte, ma colpire al cuore ha un senso più esteso: vuol dire colpire qualcuno proprio lì dove emozioni sentimenti e corporeità si uniscono.
La freccia può essere un’arma letale, ma solo se viene scoccata. Difficilmente potremmo uccidere qualcuno colpendolo con una freccia utilizzata come un pugnale A meno che non gliela conficchiamo in un occhio, questo avrebbe poco a che vedere con la nobile arte del tiro con l’arco.
Non si vince con la forza ma con il cuore
Nel caso di domande o argomentazioni da sollevare si usa dire ‘andare al cuore del problema’, ‘andare al cuore del bisogno’, ‘andare al cuore della situazione’.
Quando si riesce a farlo l’operazione avviene rapidamente e l’obiettivo viene raggiunto senza sforzo, in modo naturale.
La metafora dell’arco
Anche l’arco, come la freccia, è un oggetto metaforico.
L’arco teso fino all’estremo simboleggia ‘il Tutto’ e racchiude l’immensa e concentrata potenza del momento presente, ma bisogna tenderlo nel modo adeguato, senza impiegare l’intera forza del corpo.
Sono le sole mani che compiono il gesto, che deve essere il risultato di un abbandono, di un lasciar fluire l’energia, che passerà dal tiratore all’arco in modo così autonomo e spontaneo da sorprendere il tiratore stesso.
Nel noto libro Lo zen e il tiro con l’arco, il professore di filosofia Eugen Herrigel racconta l’esperienza di un occidentale alle prese con lo Zen e descrive le difficoltà che incontrò nel compiere correttamente la procedura richiesta: «Respiravo sì in modo tecnicamente corretto, ma quando nel tendere l’arco stavo attento a tener rilassati i muscoli delle braccia e delle spalle, mi si irrigidivano involontariamente quelli delle gambe, come se avessi bisogno di un punto di appoggio solido e sicuro e, simile ad Anteo, dovessi suggere tutta la forza dal suolo.».
Un colpo, una vita
La pratica di Herrigel cominciò perché desiderava essere introdotto allo Zen e gli fu consigliato di imparare una delle arti a cui lo Zen, da secoli, si applica: il tiro con l’arco.
Nel corso del suo apprendimento Herrigel si trovò costretto a capovolgere le sue idee, e soprattutto il suo modo di vivere. All’inizio lo fece suo malgrado, con grande pena e sconcerto, dovendo riconoscere prima di tutto che i suoi gesti erano errati; poi che erano sbagliate le sue intenzioni, infine che proprio le cose su cui faceva affidamento rappresentavano i maggiori ostacoli: la volontà, la chiara distinzione fra mezzo e fine, il desiderio di riuscire.
Sarà il Maestro ad aiutare Herrigel a scrollarsi tutto di dosso, a restare ‘vuoto’ per accogliere, quasi senza accorgersene, l’unico gesto giusto, che fa centro, quello di cui gli arcieri Zen dicono: «Un colpo, una vita.».
In un tale colpo, arco, freccia, bersaglio e Io si intrecciano in modo che non è possibile separarli: la freccia scoccata mette in gioco tutta la vita dell’arciere e il bersaglio da colpire è l’arciere stesso.
Nel saggio l’autore parte dal presupposto che il tiro con l’arco giapponese non coincida con un esercizio fisico o uno sport: «per tiro con l’arco in senso tradizionale, che egli stima come arte e onora come retaggio, il giapponese non intende uno sport, ma, per strano che possa apparire, un rito»; un rito che preveda una lotta interiore con il proprio io, per mezzo della quale l’arciere «prenda di mira» e forse arrivi a «cogliere se stesso».
Il potere destabilizzante del pensiero
L’attività mentale di un soggetto adulto è in gran parte verbale e sappiamo che l’apprendimento del linguaggio si ha nei primi anni di vita. Prima c’è il mondo delle forme, la percezione degli oggetti e prima ancora – a livello embrionale – la percezione delle bioenergie che modellano il corpo in formazione e il legame con la madre.
Siamo però spesso erroneamente portati a pensare che la concentrazione attenga al campo del razionale e del mentale. In realtà la vera concentrazione è quella scevra da pensieri, perché i pensieri possono causare preoccupazioni o distoglierci dal nostro centro e dall’obiettivo.
Diventare la freccia: consapevolezza, concentrazione e scioltezza
‘Diventare la freccia’ significa incorporare l’obiettivo dentro di noi, al punto da diventare l’obiettivo stesso.
Come si ottiene questo stato di acuta concentrazione e percezione?
La via è la pratica costante, continua, instancabile e umile. Quale pratica scegliere è qualcosa che sta al nostro discernimento. Creare l’assenza mentale e il vuoto è però estremamente complesso e richiede anni di pratica. Anzi a volte non si raggiunge mai.
A meno che il nostro obiettivo sia quello di diventare dei maestri Zen possiamo allenarci a mantenere il focus senza farci distrarre dai pensieri.
Essere tutt’uno con il nostro intento
‘Diventare la freccia’ è una buona alternativa all’assenza mentale perché ci porta a radicarci su tutto il corpo e a sentirci un tutt’uno con qualcos’altro.
Questo permette di sciogliere le tensioni fisiche che derivano dalle preoccupazioni mentali.
‘Diventare la freccia’ significa essere un tutt’uno con il nostro intento. Superare la separazione tra il cielo e la terra, il divino e l’umano, andare oltre la grande illusione della separazione e ricordarsi che noi stessi siamo Uno.
Una goccia che si fonde nell’oceano
La separazione si identifica con la sofferenza, il giudizio, il caos e la casualità, mentre l’unione è interezza. In questo stato si comprende che esiste il potenziale puro per infinite possibilità. L’unità crea in noi gratitudine e una costante fiducia nella piena possibilità di realizzare ciò che siamo e quelli che sono i nostri obiettivi.
Quando riusciamo a stare nello spazio della coscienza espansa in cui siamo la freccia, diventiamo come una goccia d’acqua che si fonde nell’oceano, acquisendone tutta l’immensa forza.
In quello stato di grazia in cui non ci si preoccupa davvero più di ciò che può accadere perché tutto è perfetto così com’è, riusciamo a: stare dentro noi stessi, essere pienamente presenti senza l’interferenza di parametri mentali.
Svaniscono il timore le paure e si sta in equilibrio e in armonia.
I giochi della mente
‘Diventare la freccia’ è un ottimo antidoto per porre rimedio ai giochi della mente che ci distolgono dal nostro centro, dal Sé.
La mente è potente ed è in grado di immaginare, inventare, creare. Questa sua dote può però essere anche di ostacolo, allorquando la mente ci distoglie dal nostro centro e dall’obiettivo, assalendoci con pensieri disturbanti, preoccupazioni, proiezioni sul futuro o rimuginazioni sul passato.
Il pensiero superficiale
I pensieri spesso si collegano l’un l’altro automaticamente, secondo le leggi dell’associazione mentale, per esempio, se il pensiero di partenza è la neve, poiché la neve è bianca il pensiero potrebbe associarsi alle cose bianche; se ripenso a dove ho visto la neve, la mente potrebbe andare a cose, persone che ho incontrato in quell’occasione, situazioni che ho vissuto; la neve è un fenomeno in atmosferico, quindi pioggia, vento, grandine, nebbia sono possibili associazioni.
Una mente non centrata su un tema può saltellare superficialmente da un’idea all’altra e questa è la normale attività di un individuo non disciplinato.
Il pensiero concentrato
Quando invece una persona studia mantiene la mente orientata verso un particolare argomento, anche la catena associativa circola ordinatamente attorno al tema. Questo è il metodo che viene usato abitualmente nella scuola, ma, oltre a richiedere sforzo e disciplina, presenta il limite di girare intorno all’argomento senza coglierne l’interezza, perciò, anche se fornisce nozioni e, a volte, pensieri nuovi, non dà una vera conoscenza.
Il pensiero concentrato è utile quando viene utilizzato per tempi brevi, proprio come l’arciere che si concentra sull’arco solo per il tempo necessario incoccare la freccia e darle la forza per colpire il bersaglio, così l’attività mentale di chi si concentra serve a far circolare il pensiero intorno a un obiettivo fino a centrarlo.
Il disco fisso del pensiero automatico
Il meccanismo del pensiero automatico è quello di riordinare le idee secondo uno schema noto e gradito, allontanando tutto quello che non vi aderisce. In questo caso l’individuo è il creatore, ma al tempo stesso il prigioniero di un disco fisso, fatto di pregiudizi e idee preconcette, che rappresentano la sicurezza e gli danno un falso senso di appagamento intellettuale. Emarginando però un mare di possibilità alternative.
Spesso, per economia di tempo e necessità di essere rapidi nell’esecuzione di un’azione o di un compito, ci vediamo costretti ad accettare e applicare questo schema strutturale che ci condiziona; per non fossilizzarci possiamo quantomeno permettere a un flusso di idee nuove di entrare e modificare costantemente il disco fisso.
Il martello del pensiero ossessivo
Nel nostro disco fisso, nell’insieme delle idee preconcette e dei pregiudizi che vi sono registrati, sono presenti anche tutti i pensieri che abbiamo rimosso per poter dare al nostro bagaglio mentale una forma a noi gradevole. Questi pensieri hanno comunque una loro carica e non accettano di venire dimenticati, per cui tendono a riemergere con forza. Inoltre, poiché siamo immersi in un contesto sociale che ci sollecita da più parti, le pressioni interne o esterne possono scatenare pensieri ossessivi, che continuano a martellare la nostra mente esigendo attenzione.
Combatterli è inutile, perché perderemmo in partenza; è meglio dar loro attenzione, comprenderli e bonificare la radice da cui provengono: se vi è un pensiero di odio meditare sull’amore, se il pensiero è di paura meditare sul distacco sereno, e così via.
La scimmia impazzita dell’irrequietezza mentale
È una situazione talmente diffusa da venire considerata normale. Sia che derivi da pressioni esterne o dal ribollire del materiale psichico che abbiamo accumulato, questo stato inibisce l’autocoscienza e la mente si comporta come una scimmia impazzita, frapponendo una serie di impedimenti mentali e di ostacoli allo sviluppo spirituale e all’autorealizzazione.
Spesso la nostra mente si comporta come il celebre asino di Buridano, morto non si sa se di fame o di sete, perché non sapeva scegliere se prima mangiare o prima bere. Questa incapacità caratteriale a decidere blocca ogni possibilità di sviluppo e riguarda esattamente il livello mentale.
L’intuizione e il pensiero creativo
L’intuizione si fa strada quando la mente smette di chiacchierare e si comincia a conoscere. Quando si smette di pensare l’importante è che la coscienza resti molto vigile. Il lampo di genio arriva quando si interrompe il chiacchiericcio mentale e il pensiero automatico cessa, perché l’illuminazione proviene dalla coscienza e non dal pensiero, che è di per sé stesso opaco e brilla di luce riflessa.
Agli artisti il messaggio intuitivo sembra arrivare da un punto esterno a loro, tanto che gli antichi invocavano le Muse per collegarsi a questo livello: «Cantami o Musa del pelide Achille l’ira funesta…».
A cosa serve ‘diventare la freccia’?
Il concetto di aut/aut, o questo, o quello si applica con valenza positiva al potere di discernimento e alla scelta, ma considerare solo due possibilità limita la visione, riduce le prospettive e impedisce di vedere le infinite possibilità.
La fisica quantistica ha apportato nuova linfa al pensiero scientifico ipotizzando le ‘realtà parallele’ e gli ‘stati coincidenti di esistenza e non esistenza’. Ha offerto alla nostra mente la possibilità di aprirsi e superare la dualità, unificando l’esperienza nel concetto che Gregg Braden chiama ‘Matrix Divina’ e che i fisici ambiscono a spiegare con la ‘Teoria Integrale del Tutto’, una teoria che comprenda e descriva in un solo modo fondamentale tutti i fenomeni conosciuti e le loro interazioni all’interno di un’unica forma base che costituirebbe un cosiddetto ‘campo unificato’. Anche se è una delle più recenti realtà scientifiche, il tentativo di proporre una ‘Teoria del Tutto’ risale già all’antica Grecia, per non parlare della letteratura dell’antica india, dove in testi come i Veda e le Upanishad si trovano affascinanti descrizioni di un ‘Uno che comprende Tutto’.
Secondo i vari principi che abbiamo esposto finora ‘diventare la freccia’ serve a:
- unificare pensiero, azione, esperienza;
- potenziare le azioni;
- facilitare il raggiungimento degli obiettivi.
Trasformare la molteplicità in unità
Se vogliamo convincere qualcuno a smettere di fumare facendo leva non sulle statistiche relative ai tumori ai polmoni tra i fumatori, ma piuttosto sulla potenza del legame affettivo con i suoi famigliari, avremo maggiori possibilità di successo perché ci stiamo rivolgendo al sistema limbico più che a quello corticale.
Secondo il modello del cervello trino di McLean, il sistema limbico altro non è che quello che chiamiamo ‘cuore’, mentre quello che tutti chiamano ‘cervello’ in realtà è la corteccia. Il terzo cervello è quello rettiliano, il più antico, il primo stadio dello sviluppo del cervello umano, quello che ci accomuna più da vicino alla nostra mai superata dimensione animale.
Questo cervello è pieno di esperienze ancestrali e di memorie primordiali: è rimasto fedele a quello che facevano i suoi antenati, ma non è bravo ad affrontare le novità. È la parte più antica che regola internamente le attività primitive basate su istinti animali legati alla sopravvivenza, alla riproduzione, al soddisfacimento del piacere e agli altri bisogni elementari ed è facilmente manipolabile con la leva bisogno-mancanza / piacere-soddisfazione.
Per uscire dalla dualità di questa leva e liberarsi dei vincoli della memoria, dei ricordi affettivi del cervello limbico, destreggiarsi nei tranelli della corteccia prefrontale l’unica via è quella dell’integrazione. Una perfetta integrazione dei tre cervelli, del cervello nel corpo e del corpo nel Tutto in cui è presente il nostro obiettivo.
Quando ‘divento la freccia’ sono l’arco, sono l’obiettivo e sono l’arciere: la freccia è l’unione, il vettore che collega i punti trasformando la molteplicità in unità.
Tradurre il pensiero in azione
‘Diventando la freccia’ ci concentriamo sull’obiettivo da colpire senza associarlo a tutta una serie di giudizi e pregiudizi accumulati su di esso. Quando osservo l’obiettivo senza giudizio, coinvolgimento, aspettative e motivazioni, dell’oggetto considerato vengono visti tutta la storia e il senso in modo panoramico e ampio.
Identificando il concetto mentale e agganciandosi all’essenza anziché alla rappresentazione astratta dell’obiettivo, filtrata dalla mente e caricata di pensieri, la percezione concreta della realtà risulta molto superiore a quanto avviene normalmente.
‘Diventare la freccia’ traduce il pensiero in azione, libera dagli schemi e ci permette di raggiungere il successo nella vita e nel lavoro.
Io sono ‘Il mio perché’
Spesso si ricorda alle persone l’importanza della motivazione, del ‘vero perché’, il principio primo, il motore che causa il movimento delle persone verso qualcosa.
Per raggiungere questo ‘perché’ interiore e profondo ci si fanno domande, si scrive, si parla, si argomenta. Dopo averlo scoperto, o meglio riconosciuto, dopo averlo cercato e ripulito dalle sovrastrutture delle convenzioni e della società, lo si può usare come potente strumento di crescita ed evoluzione.
Il ‘vero perché’ è l’essenza, ciò che ci muove, quello che ci fa diventare non solo la freccia, ma anche l’arco e l’arciere, uniti in un continuum che include anche l’obiettivo, il bersaglio.
‘Diventare la freccia’ serve a diventare un tutt’uno con ‘IL proprio perché’.
È così che con la freccia facciamo centro.
Bersaglio colpito!
‘Diventare la freccia’ significa considerare il bersaglio come già colpito.
Nel suo libro La Matrix Divina Gregg Braden racconta un’esperienza di guarigione avvenuta grazie a un cambio vibrazionale in una paziente affetta da tumore alla vescica.
Gli operatori sanitari avevano concordato una breve frase che avrebbe rafforzato una particolare qualità di emozione all’interno dei loro corpi fisici, riportando la mente al presente e immedesimandosi nella sensazione che il desiderio fosse stato realizzato: l’emozione dei tre esperti era semplicemente quella corrispondente alla donna già guarita.
L’emozione umana può veicolare energia e gli operatori partendo dal presupposto, (ispirato ai principi della fisica quantistica sulla ‘contemporaneità degli stati’ delle particelle) che la presenza del tumore rappresentasse solo una fra tante possibilità esistenti, quel giorno misero in atto il codice che richiamava una possibilità diversa e lo fecero in un linguaggio che l’universo riconosce. Cominciarono a ripetere «già fatto, già fatto.».
Improvvisamente il tumore, monitorato con un ecografo, cominciò a tremolare, scomparendo e riapparendo alla vista, come se stesse esitando fra le diverse realtà. Pochi secondi dopo la massa iniziò a scomparire, fino a svanire completamente dallo schermo.
Braden ricorda di aver pensato all’antica ammonizione secondo cui con la fede si possono smuovere le montagne: prima di allora aveva sempre pensato che far muovere le montagne fosse una metafora, invece ora sapeva che si trattava di un fatto concreto.
Il ponte tra i mondi
La coscienza può influenzare direttamente la realtà.
La Matrix Divina (la Matrice unica della fisica quantistica) è il nostro mondo, ma è anche tutto ciò che esiste nel mondo, tutto ciò che amiamo, odiamo, creiamo, sperimentiamo, vivendo.
Nella Matrix Divina siamo come artisti che esprimono le loro più intime passioni e paure, i loro sogni e desideri, attraverso l’essenza di una misteriosa tela quantistica, ma la tela e le immagini dipinte su di essa siamo noi i colori e i pennelli siamo noi.
‘Diventare la freccia’ serve a diventare il ponte che unisce le creazioni dei nostri mondi interiore ed esteriore e al tempo stesso lo specchio che ci mostra nel mondo ciò che abbiamo creato.
‘Diventare la freccia’ significa attivare il potere unificante della creatività e dell’esperienza.
Favorisce il raggiungimento degli obiettivi e sostiene il cambiamento desiderato.
Desideri sapere come un percorso di Coaching può aiutarti a cambiare il tuo stile di vita? Contattami
Bibliografia
- Eugen Herrigel, Lo Zen e il tiro con l’arco, Adelphi, 1987
- Simon Sinek, Trova il tuo perché: Solo chi conosce le proprie motivazioni più profonde può realizzarsi, ispirare gli altri e diventare un grande leader, Vallardi, 2018
- Gregg Braden, La Matrix Divina. Un ponte tra tempo, spazio, miracoli e credenze, Macro Edizioni, 2019